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La casa del killer - parte quinta - epilogo

28.11.2022 |
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"Ricoprì interamente il mio membro, rimpicciolito dalla sofferenza, solamente pochissimi peli del pube uscivano da quel compatto strato di cera e null’altro..."
Da quella volta che mi portò nel bosco ormai è trascorso all’incirca un anno. E’ stata una delle esperienze più traumatiche avute con il taglialegna. Essere abbandonati, legati, nudi ad un albero fu una realtà molto dura. La dualità dei nostri incontri tra la paura, sofferenza e piacere, quel giorno la provai chiaramente. Quando poi, tornati a casa, mi disse grazie sotto la doccia in un attimo tutte le angosce del nostro vissuto in comune svanirono.Durante questo ultimo anno ci saremo visti forse una decina di volte, nelle quali non arrivai mai a provare la disperazione di quel giorno. Notavo o per lo meno mi sembrava che trasparisse una certa umanità nel suo comportamento, dico forse perché potevo essermi trovato in situazioni più dolorose delle precedenti, che non avevano lo stesso impatto della prima volta.
Una delle ultime volte mi legò a quel letto nero su nella torretta ricoprendomi di cera. Fu un incontro lungo e lento. Non so quanta cera usò, comunque tanta. Iniziò a sgocciolarla sul cazzo floscio, procurandomi un dolore atroce per le gocce che cadevano a poca distanza dalla cappella. Mi contorcevo gridando spasmodicamente. Imperterrito seguitava a sgocciolare, ignorando le mie proteste, finché non raggiunse i coglioni. Ricoprì interamente il mio membro, rimpicciolito dalla sofferenza, solamente pochissimi peli del pube uscivano da quel compatto strato di cera e null’altro. Sentivo il pene compresso e obbligato dalla cera, non era molto fastidioso ma mi dava noia. Cominciò a massaggiarmi i coglioni e l’inguine creando un piacere che inevitabilmente saliva verso il cazzo cominciando a farlo pulsare, che crescendo non trovando lo spazio necessario spingeva rimanendo costretto dalla cera solida. Non smetteva di massaggiare anzi lo faceva con più intensione, era un piacere incontrollabile. Di colpo la cera si stacco ed il cazzo svettò parzialmente libero. Non perse tempo, con le dita cominciò a carezzare la pelle del cazzo che reagì impennandosi liberandosi dall’ultima costrizione della cera. Massaggiava ma non mi masturbava, godevo immensamente. Non smetteva. Con l’altra mano si spinse sotto il sedere infilando un dito tra le chiappe titillandomi il buco del culo, non ce la feci gemendo venni violentemente, scalzando dalla cappella gli ultimi frammenti di cera, lo sperma ruppe quella minima resistenza, per poi colare in parte lungo il pene. Qualche goccia sporcò la sua mano.
Smise di colpo. Alzandosi mi guardò serio.
“Come cazzo ti permetti idiota, dimmelo che sborravi… Coglione!!”
Il coglione mi mancava, ormai era come una gratifica.
Venne accanto al mio viso, mi rifilò un ceffone con la mano pulita.
“Lecca!”
Mi sbatté l’altra mano sulla bocca, dovetti leccare il mio sperma, stranamente mi faceva un po’ senso, non l’avevo mai fatto, timidamente e forzatamente lo feci, non mi piacque.
“Ed ora seguitiamo”
Voleva concludere ciò che aveva cominciato. Mi ero rilassato quindi sentire quelle gocce bollenti sui coglioni, e nella pelle che li congiungeva all’inguine fu un dolore nuovamente lancinante, mi mossi in modo scomposto ma le corde ed i bracciali riducevano al minimo i movimenti. Mi riempì di cera il torace, iniziando dai capezzoli per proseguire un po’ ovunque, ritornando nuovamente sul cazzo. Questa volta poche gocce ma molto calde. Smise. Ero sfinito. Talmente irrigidito che il corpo faceva ancora più male per lo strato di cera che tirava sulla pelle. Si mise eretto di fianco a me a gambe divaricate, la sua statura come sempre sembrava aumentare. Vedevo il suo cazzo, pendere trionfante sui coglioni, muoversi con il suo respirare.
“Ma ti piace proprio, puttana”
Se ne era accorto anche lui, non mi importava lasciai che lo sguardo rimanesse lì.
Scese al piano sottostante qualche minuto per poi risalire.
Mi slegò intimandomi di alzarmi.
Mettendomi in piedi parte della cera cadde a terra, dandomi una sensazione di libertà:
“Grattatela via dal corpo che poi la devi scopare via come la volta scorsa.”
Si allontanò per prendere qualcosa dal tavolo.
Togliere la cera dal pube si rivelò la cosa più complicata. Si avvicinò con in mano un pettinino di metallo, scostando le mie mani lo usò per toglierla dai peli, non era molto piacevole, non ci andava delicato, il pettine si inceppava scalzando qualche pelo, ma infine la cera venne via quasi completamente.
Camminavo e ripercorrevo con la mente questo ricordo.
Stavo tornando alla casa. Questa volta era un ritorno forzato. Due giorni addietro era squillato il cellulare, sul display lessi numero sconosciuto. Non sapevo se rispondere o meno.
“Pronto?”
Dissi dubbioso
“Ciao. Ci vediamo sabato prossimo alle sei di pomeriggio!”
Una voce decisa si infilò nell’orecchio
“Scusi, penso che abbia sbagliato numero”
Replicai, stavo per aggiungere qualche altra parola, non ne ebbi il tempo, incalzando seguitò spedito
“Non credo proprio! Ci vediamo sabato prossimo alle 6 nel pomeriggio alla casa nel bosco!”
Chiuse la conversazione.
Rimasi di stucco.
La casa del bosco ovvero la casa del killer.
Aveva usato il mio numero solo il giorno che lo aveva copiato, in tutti questi mesi mai! Al punto che ormai non ricordavo quasi più che ne fosse in possesso. Non avrei potuto nemmeno ricontattarlo non conoscendo il suo. Perché ricontattarlo sapeva che non sarei mancato ed era vero.
Questa chiamata mi innervosì. Non mi aveva mai cercato, lasciava me decidere quando tornare, riservandosi il potere di palesarsi o meno. Cosa voleva, non poteva aspettare il prossimo incontro “casuale” come tutti gli altri? Il primo appuntamento. Sarebbe stato meglio ignorarlo?
La casa tra i tronchi si stava materializzando.
Mancavano pochi minuti alle sei.
Lo vidi.
Stava appoggiato ad uno stipite della porta sotto il portico, fumando un sigaro. Mi tornarono in mente alcuni versi della famosa poesia del Carducci: “…e il cacciator fischiando su l’uscio a rimirar…”. Era vestito, era la prima volta, togliendo il giorno che lo conobbi e quando mi costrinse ad andare nel bosco, le altre volte era sempre completamente nudo o indossava solamente pantaloncini o perizoma di pelle.
Aveva dei pantaloni mimetici, scarponi ed una camicia a quadri, il taglialegna appunto.
Lentamente mi avvicinai, Ci guardammo. Non aveva il solito sguardo severo però era serio. Tirò un’altra boccata da quel sigaro e poggiandolo all’interno di un buco nel muro finalmente mi rivolse la parola.
“Dai entra.”
Il copione si ripeteva. Entrai, seguendomi chiuse la porta senza mettere il catenaccio. Mi avviai verso il tavolo e voltando lo guardai, non sapendo se mi fosse permesso non parlai. Mi fece un cenno di sedermi, ed entrambi prendemmo una sedia.
Mi scrutò ancora un po’, il profumo di sigaro mi inebriava.
Finalmente aprì la bocca.
“Non avere timore puoi parlare, ti ho cercato io, in questo momento siamo fuori dal gioco in cui bene o male ti sei trovato coinvolto. Che tu hai voluto seguitare, altrimenti non saresti più tornato, non pensi?”
“S-si…”
Balbettai.
Rise.
“Non preoccuparti. Ti voglio parlare alla pari, rimani calmo.”
Si rendeva conto del mio nervosismo.
“Penso che ricordi bene la prima volta che sei comparso come dal nulla nella mia vita.”
E come scordarselo pensai annuendo.
“Bene. Non so cosa hai scatenato in me, hai fatto ritornare presente il mio passato di quei giochi che in parte ti ho fatto conoscere. L’unica differenza è che con chi li praticavo allora era consenziente, tu ti ci sei trovato senza poter fare nulla. Per lo meno la prima volta.”
Trasse un sospiro, seguitò.
“Avevo la certezza che non saresti tornato. Mi ero comportato molto violentemente. Non mi avevi dato il benestare, mi ero preso la libertà di decidere per te”.
Guardandomi benevolmente seguitò.
“Io stesso mi ero dato subito dei limiti, poche volte sono andato oltre penso, non me ne scuso solamente perché ritornavi… altrimenti si ti dovrei delle scuse, ma la sorte mi ha dato ragione, tendevi sempre a tornare. A volte non ti ho fatto entrare. Torno quasi sempre qua alla fine della giornata, quindi non sempre ci saremmo incontrati ma spesso si.”
“Infatti me lo chiedevo.”
Ebbi il coraggio di rompere il silenzio.
Accennò un sorriso.
“Già. Comunque tornando ai primi istanti, ebbi una voglia di saltarti addosso Farti violenza, e così è stato. Poi mi spogliai e se ti ricordi mi avvicinai a te da dietro, sfiorandoti con il cazzo che letteralmente mi scoppiava, mi avevi fatto eccitare in un modo indicibile. In quel momento mi stavo avvicinando per violentarti, sbatterti di nuovo sul tavolo per schiaffartelo dentro ed incularti senza mezzi termini.”
Deglutii erano impressi bene quegli istanti nella mia mente.
“Fortunatamente desistei, fu il primo limite che mi posi. Feci bene altrimenti, penso che non saresti qua. Quando ti infilai il dito nel culo ebbi conferma che avevo fatto bene.”
Guardandomi sempre fisso negli occhi seguitò
“Sei vergine, vero?”
Avvampai, anche se lui sicuramente era la persona che mi conosceva meglio, soprattutto nel mio intimo. Il rossore salì lo stesso sul volto. Domanda diretta, risposta altrettanto diretta.
“S-si! Non avevo mai fatto niente del genere, sono vergine.”
“Fortuna che mi fermai” seguitò “Ti sembrerà strano tra di noi, e lo sai bene, è nato un rapporto di dipendenza, mi sono abituato ad incontrarti, Anche se casualmente, a scadenze quasi regolari. Quella volta che ti lasciai nel bosco ero talmente incazzato che per mesi non ti eri fatto vivo che ti punii in quel modo, fu una cosa estemporanea. Molto forte. La sera quasi mi scusai, appunto sotto la doccia mi comportai dolcemente e ti ringraziai.”
“Lo avevo capito anche io” Risposi
“Bene. Veniamo al sodo la voglia di scoparti mi è rimasta sempre, ormai, sono sincero, il rapporto sta un po’ cambiando, se vuoi possiamo sempre seguitare quel tipo di giochi… mi piacerebbe, però con il tuo consenso e fermarmi se me lo chiedi.”
Ero abbastanza incredulo nell’ascoltare quelle parole, le farfalle nello stomaco cominciarono a farsi sentire, dentro i pantaloni qualcosa si stava irrigidendo.
“Si, piacerebbe anche a me sentirmi posseduto, mi piace essere dominato anche in modo meno cruento, penso.”
Si alzò, con un cenno della testa mi ordinò di seguirlo. Era il suo forte dare ordini anche senza parlare. Come drogato mi alzai, quando si fermò seguitai in direzione delle scale che andavano sulla torretta.
“No fermo dove vai? Di qua.”
Aprì una porta, l’avevo sempre ignorata, le volte che ero rimasto da solo in quella casa non vedevo l’ora di uscirne.
La aprì. Una stanza da letto.
“Sopra è per i giochi, qui è per altra cosa.”
Entrammo.
Ognuno spogliò l’altro. Ero come un adolescente che si affaccia per la prima volta al sesso. Un po’ come quando da innamorati si decide di andare oltre. Qui l’amore non c’entrava, forse una stima, un nuovo rispetto non so, l’effetto comunque era lo stesso. Parlammo quasi niente. Completamente nudi ci avvicinammo, tremavo, ci abbracciammo. I due corpi si toccarono. Prendendo l’iniziativa avvicinai le labbra alle sue, l’odore di sigaro mi dette il coraggio, le labbra si sfiorarono e lo baciai. Ebbe un attimo di esitazione ma dopo il primo momento, la passione sostituì l’incertezza, le nostre lingue avide si cercarono per non staccarsi. I nostri corpi si avvinghiarono. Per la prima volta potevo toccare il suo corpo ed esplorarlo. Il calore dei due cazzi si fondeva in una sensazione sublime. Le mani raggiunsero la perfezione del suo culo, con le dita sfiorai i glutei, stringendoli. Affondavo le dita in mezzo a loro godendo del calore della pelle. Avevo un’erezione. Cademmo con un tonfo sul letto. Abbracciati ci eccitavamo. Anche il suo cazzo era in erezione, li strusciavamo uno sull’altro con foga. Poi mi girò sentii il suo sesso tra le chiappe, caldo bollente, giocava in quello spazio delicatamente. All’orecchio mi disse
“Lo vuoi davvero?”
“Si”
Non disse altro.
Si staccò dal corpo, scese con le mani cominciando a massaggiare le natiche, sempre con dolcezza, quindi sentii il suo alito sfiorare il sedere e la sua testa spingersi là in mezzo per far arrivare la lingua proprio sul buco del culo. La lingua lavorava senza smettere bagnandolo e dandomi delle sensazioni indescrivibili, mi sentivo sciogliere, il mio cazzo come reazione era diventato duro come non mai. Poi si pose davanti a me mi disse di succhiarglielo più che potevo. Tornato dietro lo indirizzò verso il buco.
“Ti farò male, peró cerca di rilassarti, non ti irrigidire”
Entrò con discrezione con due dita, massaggiandomi cercava di rilassare i muscoli. Le tolse sostituendole con la cappella. Spingeva piano cercando di fare delicatamente, mi sforzavo di non ostacolarlo. Piano piano spingendo entrava, sentivo dolore ma cercavo sempre di rimanere rilassato, poi con le mani si aggrappò alle mie spalle e spinse con un colpo di reni improvviso, facendo entrare il cazzo così, di colpo. Mi mancò il fiato. Gridai. Rimanemmo entrambi fermi, lui sopra con il cazzo dentro me. Poi, piano cominciò a fare su e giù finchè il dolore diminuì. Cominciai a provare piacere. Era bollente e nel movimento altalenante si era adattato al mio culo. Ansimavamo insieme, mi stringeva, quell’essere preso ed immobilizzato mi deliziava. Il mio cazzo passivamente strusciava sulle lenzuola aumentando così il mio piacere, era come se scopassi il materasso sensazioni eccitanti. Non so come feci, riuscii a voltarmi. Ci baciammo durante l’amplesso. Ci eccitavamo sempre più. Lo sentii pulsare dentro il mio corpo stava venendo, gemette violento. Anche io di conseguenza venni, arrivammo all’orgasmo quasi contemporaneamente. Poi con rapidità tutto cominciò a tornare calmo, solo i nostri respiri ansimavano. Si lasciò andare con tutto il suo peso sopra di me. Il cazzo cominciò ad afflosciarsi per uscire lentamente ancora con qualche goccia sulla cappella.
“Siamo venuti insieme, ti ho sentito stringere il culo ad ogni tuo schizzo”
Mi venne da ridere.
Era strano sentirsi in sintonia con chi durante quei mesi aveva abusato di te, ero felice. Rimanemmo nel letto in quella posizione per una ventina di minuti.
Si stava facendo notte. Facemmo una doccia e ci ritrovammo entrambi nudi a parlare in cucina.
“Hai paura a tornare alla macchina con il buio?”
“No, risposi, mi è capitato di tardare a volte e ritrovarmi a camminare nell’oscurità nelle campagne e nei boschi.”
“però, sei una continua scoperta.”
Poi guardandomi divertito seguitò
“Se vuoi possiamo dormire qua, non ho molto per cena, qui tengo poche provviste.”
“No problem!”
Mangiammo quel poco che ci offriva la casa e tornammo a stenderci sul letto.
“certo è strano ritrovarci così”
Dissi
“Si anche per me, solo qualche ora fa non lo avrei mai pensato. Sicuramente se ti avessi violentato la prima volta, ora non saremmo qua!”
Sorrisi
“forse chissà.”
“Posso farti una domanda?”
Annuì.
“quegli oggetti che tieni sul tavolo, come mai non li hai mai usati con me?”
Con una smorfia mi rispose.
“Sentivo che non eri pronto o che non ce l’avresti fatta a sopportarli, nel gioco bisogna essere in due a fare delle scelte, tra di noi per forza di cose ero solamente io a scegliere, dovevo pormi dei limiti e non superarli, o capire quando fosse stato possibile. Quindi stavano lì per provocarti disagio.”
Proprio come avevo pensato
“Beh, ci hai preso alla grande.”
Seguitai
“Mi spieghi una cosa?”
“Certo dimmi”
“Quella gabbietta leggermente curva di metallo, a cosa serve?”
Si mise a ridere di gusto.
“Non la conosci?” stupito proseguì “E’ una cintura di castità”
Incredulo sbottai
“Cosa? Ma come… come funziona?”
“Ci si infila il cazzo quando ancora è rilassato, si chiude con un lucchetto, siccome è grande più o meno quanto un cazzo a riposo, non permette un’erezione, e se non ce la fai a trattenerla il cazzo spinge sulla gabbia, fa un po’ tu?”
Non mi capacitavo mai avrei pensato una cosa del genere.
“Quindi più o meno come l’ultima volta che mi hai messo la cera, me lo aveva avvolto, all’inizio non riusciva a crescere, poi certo la cera si è staccata e lui è esploso, in questo caso invece… povero me!”
Ridemmo entrambi.
Ci mettemmo sotto il portico, sempre senza alcun abito addosso, per fumare. Quella nudità mi dava un forte senso di libertà.
Tornammo in camera. Ci addormentammo. Durante la notte mi svegliai, il culo un po’ faceva male ma era sopportabile. Nella penombra notturna lo vedevo dormire supino leggermente piegato verso me. Lentamente avvicinandomi cominciai a carezzargli i coglioni, respirava sempre tranquillo quasi russando, seguitai delicatamente sfiorando l’interno della coscia, si mosse un po’ ma rimase preso dal sonno, non così il suo cazzo che cominciava a risvegliarsi, non persi tempo avvicinai la bocca cominciando a succhiare. Svegliandosi senza scambiare parola ci ritrovammo nella posizione sessantanove. Inalavo il suo odore. Odore di bosco, tabacco, di sesso una mescolanza perfetta. Godemmo entrambi, il suo sapore era meraviglioso, ricademmo poi nel sonno così piacevolmente interrotto.
La mattina alle sei ci alzammo, dal bagno sentii l’odore del caffè. Ne bevemmo due tazze per iniziare la giornata.
Avevamo ancora una mezz’ora poi lui doveva tornare all’agriturismo.
Squillò il mio telefonino. Un numero sconosciuto, così presto chi poteva essere, stavo per rispondere. Intervenne, anche lui con il cellulare in mano
“Non rispondere, memorizza il numero, ti ho chiamato”
“Il tuo numero? Grazie!”
“D’ora in poi cambia tutto, non so se vorrai continuare, comunque sarà un gioco alla pari, sempre che tu lo voglia, quando tu od io vorremo incontrarci ci si chiama, senza tante perdite di tempo.”
Rimasi stupito.
“Si ormai giochiamo a carte scoperte!”
Ci ritrovammo sotto il portico stringendoci la mano.
Mi guardò di nuovo e scoppiò a ridere… “Ma come mi hai memorizzato, con quale nome?”
“Il taglialegna” risposi
“Taglialegna, Perché?”
“La prima volta che ti vidi, più o meno eri vestito come sei adesso, e visto il tuo corpo muscoloso ho pensato proprio che fossi un tagliaboschi”
“Che fantasia, però mi piace, in effetti ogni tanto uso la motosega. Comunque il mio nome è Michele”
“Simone il mio”
Dicemmo i nostri nomi stringendoci di nuovo la mano.
Ognuno, poi si avviò per la sua strada.
Nel tragitto sino alla macchina attraversarono la mia mente mille pensieri sulla stranezza della vita, ero diventato amico del mio carnefice in un certo senso, ero soddisfatto. In quel momento non potevo sapere come poi tra di noi le cose sarebbero proseguite. Però era il giusto finale di quella nostra storia, per poi trovare forse un nuovo inizio, un cammino diverso.
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